e che ne comprende le gioie e i dolori,
voglio confidare queste parole:
all'alba della mia dipartita,
al crepuscolo del sentiero
che ho scelto,
posso finalmente affermare, completamente in pace,
che la nostra ferita,
in questo mondo,
non sta né nella ricchezza
né nella povertà,
ma nella nostra dipendenza da uno di questi due strati,
nel fatto di immaginare che
l’uno o l’altro possano offrirci gioia e libertà.
Sta anche nel fatto di essere convinti che l’Altissimo Signore
abbia bisogno delle sofferenze di noi creature, per aprirci la porta della sua luce.
La nostra ferita, infine, è il convincimento che Egli
abbia bisogno di sacrificarSi
sotto forma di suo Figlio,
o sotto forma umana al fine di salvarci.
Chi mai, tranne noi stessi,
per mezzo della purezza del cuore, potrà salvarci?
In verità il Buon Signore
mi ha mostrato che
non vi era alcun riscatto,
alcun sacrificio da perpetuare.
Mi ha insegnato, in silenzio,
che sarebbe bastato uscire dall'ignoranza, dall'oblio, e amare.
Amare la vita in ogni forma,
e con tutti i mezzi che la rendono bella, amare la sua Unità
in ogni cosa e in ogni essere.
Possa tutto questo venir detto,
un giorno, tanto alle donne come agli uomini;
possa venir detto e insegnato meglio di quanto io abbia saputo fare, senza nulla respingere dell’Acqua né del Fuoco.
Il mio augurio è che non ci siano più né Chiese, né preti, né monaci, niente di tutto questo:
che vi sia soltanto l’Altissimo e noi, perché sta ad ognuno incontrarlo in se stesso…
Ora che il velo si squarcia,
voglio andarmene nudo come sono venuto al mondo.
E non parlo della nascita del mio corpo, ma della vera nascita della mia anima, del giorno in cui ha trovato il coraggio di
scendere più a fondo nella carne
per offrirmi all'Eterno,
così in Alto come in Basso.»